Possibile che una scrittura inventata 4000 anni fa sia rimasta così a lungo indecifrabile? E’ ciò che è accaduto ai geroglifici. Codificati intorno al 3350 a.C., sono stati impiegati fino all’avvento del Cristianesimo per poi essere completamente dimenticati intorno al V secolo dopo Cristo, e riscoperti “solo” due secoli fa. Oggi appaiono come una sorta di emoji ante litteram.
Tantissimi i tentativi andati a vuoto per ridare voce a quei segni enigmatici. Fino al 1822, l’anno in cui lo studioso francese Jean Francois Champollion annunciò l’incredibile scoperta, arrivando finalmente alla loro decifrazione.
Nel bicentenario di quella svolta epocale, il Museo Egizio di Torino svela l’apertura di un’intera nuova sezione dedicata alla lingua dei faraoni. La Sala della Scrittura – così si chiamerà – avrà il compito di fare luce sull’importanza della lingua egizia per la conoscenza della civiltà. Una galleria di 600 metri quadri dove entreranno in gioco la storia, l’uso della tecnologia e l’ausilio dell’Intelligenza Artificiale. Oggetti scelti per il loro valore e pregio artistico, ma anche per le qualità immateriali, dialogheranno con filmati multimediali volti a illustrare diversi aspetti della lingua egizia, dalla nascita al funzionamento, ai diversi tipi di scrittura.
Ideogrammi, fonogrammi e segni determinativi erano usati congiuntamente nell’egiziano antico, tanto da farla apparire una lingua elitaria e macchinosa. Nulla di più lontano dalla realtà. Adottate insieme, le tre forme comunicative rendevano i geroglifici degli emoji primordiali: la persona analfabeta, ad esempio, sapeva che dopo il nome di un animale seguiva sempre il suo disegno, che il nome proprio di una persona era sempre accompagnato dalla raffigurazione di un uomo seduto, e che all’interno di un cartiglio poteva essere racchiuso solo il nome di un faraone.
La corsa all’innovazione del più antico museo del mondo dedicato interamente alla civiltà egizia non si esaurisce con questa novità. La riflessione del direttore Christian Greco su ciò che i musei devono essere, scaturita alla luce di quanto recentemente ridefinito dall’ICOM, ha portato ad una conclusione ambivalente; luoghi di conservazione ma anche di decontestualizzazione, poiché sottraggono i reperti dai loro luoghi originari.
Il virtuale è lo strumento che consente di colmare questa dicotomia apparentemente inconciliabile: l’Egitto verrà ricreato nell’ipogeo come luogo immersivo esperienziale. Una necessità questa, dettata dai progressi della ricerca e dalla volontà di ripensare costantemente il modo attraverso cui interfacciarsi con il pubblico.
Ma non solo. Il processo di trasformazione digitale in corso al Museo Egizio passa anche attraverso un nuovo modello organizzazione dei processi di lavoro e archiviazione scientifica. Il progetto SiME (Sistema Museo Egizio) avviato lo scorso anno, si prefigge proprio l’obiettivo di creare un sistema di metadatazione e repository che revisioni i contenuti del database scientifico del museo e che faciliti la registrazione delle informazioni di ogni singolo reperto.
Un’apertura al digitale, quella dell’Egizio di Torino, che coinvolge la fruizione del pubblico, la ricerca scientifica, la catalogazione e la gestione dell’istituzione: un esempio da seguire per tutte le realtà museali che vogliano promuovere la diffusione della conoscenza attraverso esperienze diversificate e individuare nuove strategie di management.